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Il Team di Utopia

Mario Draghi sarà un amico delle energie rinnovabili?



Di Mario Draghi ormai conosciamo parecchio. Economista, allievo di Caffè e Modigliani poi spostatosi su posizioni monetariste e negli ultimi anni apparentemente tornato ad avvicinarsi a posizioni keynesiane.


Sappiamo che è probabilmente l'italiano più stimato nel mondo, sappiamo che quando è stato governatore della BCE non ha esitato ad adottare politiche espansive facendo storcere il naso a parecchi falchi del nord europa e possiamo immaginare che il suo governo sarà sicuramente di alto livello, prestigioso, indipendente ma solidamente agganciato all'Europa.


Quello che forse non sappiamo ancora bene è quale sia la sua posizione sulla transizione energetica e sul ruolo potranno giocare le energie rinnovabili nella ripresa post pandemia.


Possiamo certamente affermare che quando Draghi era governatore della BCE, le sue politiche sono finite nel mirino perché hanno indirettamente veicolato fiumi di denaro verso i grandi inquinatori. Un'inchiesta di Corporate Europe Observatory del 2016 stimava in 46 mld di euro il travaso a favore di aziende come Shell e Repsol.

Tendenza che peraltro non è stata invertita nemmeno dopo la fine del suo mandato. Lo scorso ottobre, uno studio dettagliato pubblicato da New Economics Foundation (NEF), dalle università britanniche SOAS di Londra, West of England e di Greenwich e da Greenpeace Central and Eastern Europe, dimostrava che più della metà dei 241,6 miliardi di euro di obbligazioni societarie detenute dalla BCE a fine di luglio 2020 erano state emesse da imprese ad alta intensità di carbonio.


Effettivamente c'è da dire che da tecnico a capo della principale istituzione finanziaria europea non era suo compito disquisire di politiche energetiche, nè tantomeno occuparsene o ponderare le conseguenze indirette della sua politica monetaria, e anche al termine dell'incarico ha sempre mantenuto una certa riservatezza. Tuttavia alcune utili indicazioni le possiamo già trarre da diverse sue dichiarazioni.


Per capire come si ponga oggi il neo premier incaricato rispetto all'argomento, è sufficiente andare indietro di qualche mese, precisamente ad agosto, quando al meeting CL di Rimini si è lanciato in un ispirato discorso in cui ha svestito i panni del tecnico per lasciarsi andare a diverse considerazioni di natura politica e programmatica: Draghi faceva notare che le risposte ai cambiamenti climatici e le trasformazioni economiche e sociali che ne conseguono stanno al primo posto nelle preoccupazioni del 75 per cento dei cittadini dei 16 paesi più avanzati e il commissario europeo agli Affari Economici Gentiloni assicurava che sostenibilità, innovazione e inclusioni saranno le vie maestre che la Commissione Europea avrebbe seguito nell'attribuzione del Recovery Fund e delle altre risorse a disposizione degli stati membri, risorse che dunque non possono essere usate come mance a questa o quella categoria.

Del resto già nel 2019, i nel suo intervento in occasione del Farewell Event, a Francoforte, per la chiusura del suo mandato di Presidente della BCE, Draghi osservava che “Il cammino verso la capacità di bilancio sarà molto probabilmente lungo. La storia ci insegna che i bilanci raramente sono stati creati per il fine generale di stabilizzare, ma piuttosto per conseguire obiettivi specifici nel pubblico interesse. Negli Stati Uniti è stata la necessità di superare la Grande Depressione a determinare l'espansione del bilancio federale negli anni ’30. Per l’Europa, vi sarà bisogno di una causa pressante come l'attenuazione dei cambiamenti climatici per realizzare questa dimensione collettiva”


Secondo Draghi quindi, la creazione di una capacità fiscale dell’Unione richiede quindi che si debbano affrontare problemi che non possono essere risolti se non attraverso la dotazione di beni pubblici a livello europeo. Il bene in questione è rappresentato dal contrasto ai cambiamenti climatici, e notevoli risorse sono richieste per garantire una transizione ecologica che sia al contempo efficiente e socialmente giusta.


Sostenibilità ambientale come paradigma di una sostenibilità finanziaria della ripresa post pandemia.


Le condizione dunque sembrano favorevoli, del resto c'è da sperare che un governo solidamente europeista segua la strada intrapresa con decisione dalla Commissione Europea di Ursula Von Der Leyen, il cui progetto denominato Green Deal rappresenta il fulcro del programma post pandemia.


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